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Immagine del redattoreRoberto Maria Sassone

Sri Aurobindo e Mère, la nuova umanità




Relazione al Convegno di Riccione: Nuova Coscienza e Guarigione – 7 maggio 2011


La spiritualità in tutte le epoche e le culture ha fondamentalmente posto la sua attenzione sulla possibilità di risvegliare nell’essere umano la consapevolezza di essere una goccia del Divino e di appartenere già adesso all’interno di sé ad una dimensione trascendente.

La vita sulla Terra viene concepita come un’occasione per l’anima di evolversi, acquisendo esperienze essenziali nella materia. Questa evoluzione dell’essenza avviene proprio grazie alla frizione che comporta la discesa in una realtà limitata e limitante che oscura la coscienza.

L’uomo che percorre il cammino della conoscenza vive quindi la vita con l’aspirazione di riunirsi alla dimensione trascendente, considerando la vita stessa un transito, un limite necessario, un pedaggio da pagare per acquisire una più vasta coscienza. Nel Cristianesimo cattolico il messaggio che la Chiesa propone è che la vita sia una condizione per acquisire dei meriti.

La materia ed il corpo sono quindi solo dei mezzi e degli strumenti da abbandonare per la loro imperfezione. Questa visione ratifica una separazione tra spirito e materia e non consente di cogliere una verità implicita in ogni Via Tradizionale, ovvero che tutto è il Divino e che non c’è niente al di fuori di Esso. Di conseguenza anche la materia è divina e naturalmente anche il corpo.

Nella visione tantrica questo concetto è ancora più evidente nella coppia Shiva-Shakti che rappresenta l’aspetto immanifesto del Divino e l’aspetto manifesto o dinamico. Per usare una metafora potremmo dire che il Divino reca in sé potenzialmente ogni possibilità di forme e di espressioni che istantaneamente si attualizzano nella cosìdetta creazione, poiché nel Divino potenza ed atto coincidono.

Sono del tutto consapevole del limite di queste parole per esprimere qualcosa che è completamente al di là dei riferimenti della mente umana. Ma se ascoltiamo con l’atteggiamento del bambino, riusciamo a coglierne il senso.

Sri Aurobindo e Mère invece impostano tutta la loro ricerca, partendo dalla loro esperienza per la quale la materia è suscettibile di evoluzione perché, essendo nella sua essenza già divina, può essere resa più duttile e capace di non essere più un ostacolo per la coscienza individuale incarnata, che noi chiamiamo anima e che Loro chiamano essere psichico. Al contrario essa può manifestare la gloria del Divino. Il corpo dell’uomo e quindi l’uomo stesso non ha terminato la sua evoluzione, essendo ancora un essere di transizione. L’evoluzione si muove nella direzione di un’anima risvegliata in un corpo cosciente, sovramentalizzato, come dice Sri Aurobindo.

Nella tradizione vedica già questa possibilità era espressa ed i Rishi ne facevano esperienza, anche se la condizione evolutiva dell’uomo non consentiva ancora a questa nuova fase di iniziare a manifestarsi ed estendersi gradualmente a tutta la Terra. Sri Aurobindo sostiene che questa nuova possibilità di incarnare una coscienza più vasta, la coscienza sovramentale, adesso esiste. Siamo agli albori di una nuova era. Ma quando si passa da una fase più involuta ad una fase più evoluta, è inevitabile un periodo di transizione, quella che chiamiamo crisi, caratterizzato da una forte destrutturazione del vecchio ordine per far nascere il nuovo.

E’ come se tutto dovesse triturarsi per riformarsi in una complessità più armonica. Il vecchio sistema collassa e si destruttura per ristrutturasi in un ordine più omogeneo e funzionale. Questa è la legge di ogni evoluzione. Lo vediamo attraverso la formazione e la crescita della vita sulla Terra, dagli organismi più semplici, monocellulari, all’homo sapiens, passando per la vita vegetale, i pesci, i rettili, gli uccelli ed i primati. Gli organismi aumentano in complessità ed è proprio questa complessità che consente funzioni più avanzate, fino all’autocoscienza che permette all’uomo di riflettere su se stesso, di modificare il progetto della sua vita e di accelerare la sua evoluzione.

Siamo passati dalle funzioni essenziali di sopravvivenza del cervello rettile, all’affettività del cervello limbico, alla funzioni cognitive della mente. Ma la mente non è l’ultima risposta dell’evoluzione. Sri Aurobindo e Mère, attraverso l’esperienza diretta, ci dicono che la prossima fase dell’umanità è lo sviluppo della sovramente, uno stadio in cui l’uomo può accedere direttamente all’esperienza di una coscienza non filtrata dalle categorie mentali che distorcono la visione del reale. Questa nuova coscienza è anche chiamata coscienza di verità.

Ne “La Manifestazione Supermentale sulla Terra” Sri Aurobindo scrive: “Il corpo in passato è stato considerato dai ricercatori dello spirito più che altro come un ostacolo, come qualcosa che doveva essere superato o scartato, più che uno strumento di perfezione dello spirito e un terreno della trasformazione spirituale. Esso è stato giudicato come una grossolana manifestazione della Materia, un ostacolo insuperabile le cui rigide limitazionirendono la trasformazione impossibile. Questo perché il corpo umano, anche al suo massimo, sembra solo sospinto da un’energia di vita limitata, degradata nei particolari dei suoi funzionamenti fisici da molte cose meschine, rozze e negative; schiacciato dall’inerzia e dall’incoscienza della Materia, solo parzialmente risvegliato e benchè stimolato e mosso dall’attività nervosa, rimane subcosciente nelle operazioni fondamentali delle cellule e dei tessuti che lo costituiscono e nei loro funzionamenti segreti. Anche all’apice del suo vigore e della sua forza, anche al massimo del suo splendore e della sua bellezza, è sempre un fiore dell’incoscienza materiale. L’Incoscienza è il terreno su cui è cresciuto e ad ogni passo oppone i suoi limiti ristretti all’ampliamento dei suoi poteri e ad ogni suo tentativo radicale di superarsi. Ma se una Vita divina è possibile sulla Terra, allora anche questo superamento di sé deve essere possibile”.

Questo scritto chiarisce la visione di Sri Aurobindo sul tema del corpo. Infatti si potrebbe replicare che in effetti la maggior parte di discipline spirituali tradizionali includono nella loro sadhana pratiche di respirazione, di movimenti e di addestramenti che riguardano la purificazione del corpo. Quindi sembrerebbe che non ci sia niente di nuovo nelle parole di Sri Aurobindo. Desidero precisare che tutte queste tecniche non servono a trasformare il corpo, ma ad educarlo. Le asanas dell’hatha yoga, il pranayama, le tecniche tantriche, i digiuni e il cambiamento di alimentazione, consentono di raffinare il funzionamento del corpo, pulirlo dalle sue incrostazioni, dai blocchi emozionali e psichici; certamente già questo è un progetto eccellente che attiva percezioni più sottili, consente un contatto più immediato con la nostra essenza e ci apre alla percezione di un contatto profondo con la Terra e col Divino. Ma Sri Aurobindo non vuole una rieducazione o un miglioramento del corpo, bensì intende parlare di una trasformazione sostanziale, di un risveglio della coscienza delle cellule, di una duttilità che consenta una nuova funzionalità. Il corpo diventa una vera estensione della coscienza che si è individualizzata, un’estensione dell’anima. Finchè il corpo è incosciente non può essere assorbito dalla nostra essenza. L’originalità del pensiero di Sri Aurobindo è considerare la materia capace di evolversi, mentre questa qualità noi siamo soliti attribuirla soltanto alla coscienza svincolata da ogni struttura.

Non dobbiamo dimenticare che l’evoluzione è avvenuta a partire da una sostanza informe che conteneva la potenzialità di tutte le specie viventi, come un seme contiene l’intera pianta. Inoltre assistiamo al collegamento tra maggiore complessità degli organismi viventi e modalità sempre più sofisticate di funzioni cognitive e di coscienza. E’ innegabile il nesso tra organizzazione dei sistemi e coscienza, intendendo per coscienza, non la consapevolezza od autocoscienza, ma il modo in cui si struttura l’organismo vivente e interagisce con l’ambiente. Ma la materia è anch’essa coscienza o, per dirlo in maniera più comprensibile per noi, la materia è un modo di essere della coscienza.

Nel corpo c’è una coscienza segreta suscettibile di crescita e di manifestare l’ananda. “Un corpo pienamente cosciente potrebbe persino scoprire e mettere in pratica il giusto metodo e procedimento fisico della trasformazione materiale” (Pag 19). Non è un caso che nell’evoluzione della psicologia da Freud con la sua pratica verbale, associativa e discorsiva, si è giunti a Wilhelm Reich e Alexander Lowen, ovvero alle psicoterapie corporee in cui si lavora sulla coscienza del corpo, sull’integrazione di sensazioni ed emozioni, sull’apertura dei canali energetici.

Sri Aurobindo ha reso possibile il collegamento con questa nuova fase evolutiva, ma chi ha intrapreso l’arduo ed eroico compito di iniziare la trasformazione della coscienza delle cellule è stata Mère. Per anni lei ha sperimentato la possibilità di infondere questa nuova coscienza, nuova per l’essere umano, in ogni fibra del suo corpo, passando attraverso sofferenze inaudite ed estasi inenarrabili. Ad un certo punto della sua sadhana Sri Aurobindo decise di ritirarsi e di affidare a Mère il compito di procedere in questa avventura nella materia, dichiarando che il corpo di lei fosse più adatto ad incarnare la coscienza supermentale. Nel frattempo, nel chiuso della sua stanza, egli continuava ad agire su piani più sottili. Non ho la conoscenza per spiegarvi di più. Mère cercò di descrivere passo dopo passo i suoi progressi nei tredici volumi dell’Agenda, raccontando a Satprem, il suo allievo più recettivo, le sue eccezionali esperienze.

Il nostro corpo è completamente intriso di mente, anche nei suoi funzionamenti di base. Mère tentò di sradicare la mente da esso e consentire alla coscienza sovramentale di assumere il controllo delle funzioni basilari, come quelle neurovegetative e cellulari. Dovremmo immaginare un essere umano che può sentire consapevolmente le sue produzioni ormonali, metaboliche e tutto ciò che avviene nello scambio cellulare e nei processi nervosi e neuronali ed essere in grado di agire su di essi, come siamo in grado adesso di decidere di sollevare un braccio e camminare. Tutto il sistema autonomo dovrebbe essere al servizio della coscienza.

La nuova specie dovrebbe sentire anche a livello corporeo l’unità con tutta la materia e quindi con la natura. Non c’è più il senso di separazione e si manifesta la capacità di essere naturalmente in equilibrio con la flora, la fauna e la Terra intera, percepita come organismo cosciente ed unitario.

Tali discorsi rischiano di sembrare pure fantasie, ma le descrizioni fatte da Sri Aurobindo e da Mère di come dovrebbe diventare l’uomo del futuro sono ancora più strabilianti e le rimando ai vostri successivi approfondimenti personali. Mi viene da considerare però che certamente per un’ameba sarebbe sembrato un mero vaneggiamento l’ipotesi dell’avvento dell’Uomo con le sue facoltà cognitive e con lo sviluppo dell’autocoscienza.

Mère si accorse che per accelerare il suo processo di trasformazione cellulare era molto efficace un mantra appartenente alla tradizione vedica: OM NAMO BHAGAVATE’. Dopo averlo sperimentato per anni, lo diede all’umanità, facendolo registrare dal suo allievo Satprem. Questo mantra, mantra delle cellule, esprime la frequenza della coscienza sovramentale e la pratica del japa (ripetizione) collega la nostra materia corporea a questa coscienza. Esso è un catalizzatore che infonde nelle nostre cellule la vibrazione della Coscienza di Verità.

Naturalmente voglio subito smorzare gli entusiasmi, così frequenti nei ricercatori della domenica. Col mantra non avvengono miracoli e portenti, nessuno diventa un superuomo. Si tratta di un aiuto che non si sostituisce alla costante e certosina sadhana dello yoga Integrale che comprende la consapevolezza del corpo, la purificazione delle emozioni, la destrutturazione della mente, l’azione senza attaccamento, la pratica dell’equanimità e della compassione, l’intento inflessibile, lo sviluppo del testimone e l’apertura del cuore.

Lo yoga Integrale di Sri Aurobindo e Mère è tutto questo e molto di più, uno yoga che include ogni aspetto ed ogni momento della nostra vita, uno yoga per l’umanità e per il Divino, uno yoga umile, fatto di piccoli risultati e di tanta perseveranza, fede, aspirazione e surrender.

Vista la complessità di questa Via e la mancanza di un metodo codificato e di maestri che possano insegnarlo, nel mio piccolo ho creato in numerosi anni un approccio per avvicinarsi allo yoga Integrale, che ho chiamato la Nobile Via del Guerriero, proprio perché bisogna essere dei guerrieri per fare questo cammino, come spesso dicevano Sri Aurobindo e Mère.

Non dobbiamo pensare alla figura di un guerriero invincibile e pieno di sé. Nel guerriero colgo colui che ha il coraggio e l’umiltà di affrontare i suoi demoni interni, mosso da una nobile aspirazione esclusivamente volta al Divino. Questa è la mia concezione del guerriero. Non vagheggia poteri, non cerca esperienze meravigliose e nessuna scorciatoia. Non si fida dei mondi intermedi e dei piani astrali, ricchi di pericoli e d’inganni. Il suo sguardo è puntato solo sul Divino, senza richieste e patteggiamenti.

La Nobile Via del guerriero è un percorso nel corpo, nelle emozioni, nella mente, nelle azioni, nel respiro, nella relazione, nella presenza e nel suono del mantra. Ma il fulcro di questa via è l’apertura del Cuore. Non esiste nessun insegnamento che non abbia un Cuore, anche se non se ne parla direttamente. Sri Aurobindo e Mère in ogni fase del loro pensiero ci ricordano che il Cuore (Centro psichico) è il crogiuolo di ogni trasformazione.

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