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Immagine del redattoreRoberto Maria Sassone

Lo Yoga umano di Satprem


Il terzo personaggio di questa grande "Avventura della Coscienza" (titolo del suo libro più famoso) è Satprem, un uomo eccezionale, un vero guerriero. Egli oltre ad avere il merito di aver registrato e pubblicato l'Agenda di Mère, ha iniziato eroicamente il cammino della Trasformazione supermentale a cui Mère lo aveva preparato per tanti anni.

Ho chiamato Yoga Umano quello di Satprem perchè egli è stato il primo uomo della nostra epoca (per quel che ci risulta) ad aver intrapreso con una dedizione totale e con esperienze chiare ed evidenti lo yoga di Sri Aurobindo e Mère, raccontando passo dopo passo le sue scoperte e le sue realizzazioni in una serie di libri esplosivi che costituiscono il suo "Carnets d'une Apocalypse", che possiamo considerare la continuazione dell'Agenda di Mère. Egli ci ha lasciato la testimonianza che il Purna Yoga è percorribile, non solo da due giganti come Sri Aurobindo e Mère, ma anche dall'uomo comune (anche se certamente Satprem era poco comune). Comunque, pur se eccezionale, Satprem non era un avatar come i suoi due maestri, eppure tenta (e riesce) un'impresa eroica, dimostrando che ognuno di noi, se è animato da vera Aspirazione e da un intento inflessibile, può mettersi in cammino verso l'Uomo Nuovo.

"Per quanto indietro  possano risalire i miei ricordi - dice Satprem -  vedo un bambino in riva al mare, che guarda. Che guarda che cosa? Non saprei dirlo. So solo che guarda. Già quel suo guardare è una domanda (...) Quando ero in mare avevo l'impressione che tutto sparisse, che non ci fosse nient'altro che il vento e le onde, che non esistesse  assolutamente più un 'io' (...) Quando tornavo a terra  avevo di colpo l'impressione di rientrare in una prigione (...) Tutto diventava insopportabile: metter piede a terra voleva dire il momento in cui tutto cominciava a farsi insopportabile". (L'Uomo dopo l'Uomo, pag. 15)

Tutto era insopportabile perchè Satprem sentiva chiaramente già allora la grande menzogna del mondo, l'orrore della crudeltà, dell'ignoranza e della falsità. "Tutta la vita che mi fosse dato di conoscere - la stessa, credo, di qualsiasi piccolo occidentale - era per me una vita soffocante. Mi imbottivano di tutta un'educazione fatta di declinazioni latine, di verbi greci - e poi il collegio: mi hanno sbattuto da un collegio all'altro perchè ero insopportabile! Veramente insopportabile! Così mi schiaffavano in un collegio e poi in un altro e poi in un altro ancora, e a me tutto sembrava talmente....mostruoso. Anche la mia famiglia non riuscivo proprio a sopportarla. A guardare tutte queste cose adesso da una certa distanza, le etichetteremmo magari come 'difficoltà caratteriali'. Diamo insomma un mucchio di spiegazioni cosiddette psicologiche. E' invece c'è soltanto un fatto: una MANCANZA...una MANCANZA di qualcosa. Tutti gli esseri umani, senza saperlo, mancano di qualcosa, che essi cercano maldestramente di riempire con questo e con quello (...) con mille cose che non riempiono mai" (Ibidem pag 17)

La psicologia spiega tutto con la mancanza d'amore, ma esiste anche una mancanza ancora più profonda: la mancanza d'anima, quello struggimento che strazia il petto perchè c'è un bisogno assoluto di respirare la Verità.


A vent'anni fu arrestato dalla Gestapo come prigioniero politico, appartenendo alla resistenza francese, e fu internato nei campi di concentramento. Durante questa esperienza terribile si pose la domanda: cosa resta di un uomo quando perde tutto, anche se stesso? "Togli tuo padre, togli tua madre, togli i tuoi amici, togli i libri, togli la musica, e allora che resta di te? Chi sei TU dentro di te, che non sia tuo padre,, tua madre, il collegio, gli amici, i...? Dove sei TU?" (Ibidem, pag 24).

Spesso sono proprio le situazioni estreme che ti obbligano a cambiare di stato, quando non ci sono alternative, o muori o rinasci! Il campo di concentramento è l'orrore assoluto; non puoi aggrapparti a niente di ciò che è conosciuto e che riesce a darti l'illusione di vivere. Non puoi fare una passeggiata in mezzo ai monti, farti assorbire dalla musica, metterti in una nuova pseudoavventura. Lì sei uno zero totale e se vuoi salvarti devi nascere ad un altro stato. Infatti Satprem ebbe proprio in quella circostanza un'esperienza che segnò tutta la sua ricerca successiva: "(...) D'improvviso, in quella orrenda nullità, sono emerso in un'indicibile gioia...(ma non posso dire, non so quale parola usare, perchè non si tratta di 'gioia'). D'improvviso sono emerso in qualcosa di straordinariamente puro e forte: FORTE, proprio così. FORTE: e più niente avrebbe potuto sfiorarmi (...) Una forza - una forza, proprio così. Qualcosa che mi faceva essere d'un tratto completamente invulnerabile. E più nulla poteva niente su di me. E' stato quello il primo contatto con...(adesso me ne rendo conto!), il primo contatto con la verità, con quello che SIAMO - con quello che ogni essere umano E', perchè quando si entra in contatto con quell'inizio d'ESSERE si viene in contatto con quanto esiste da qualsiasi parte: in un altro uomo o in una pianta o in un animale. Si entra in contatto con l'essere stesso del mondo. E l'essere stesso del mondo è qualcosa di assolutamente pieno, potente e...regale" (Ibidem, pag  25).

Siamo abituati nella nostra cultura mentale a considerare la verità come qualcosa di astratto e di ideale. In questa esperienza comincia a prendere forma una nuova prospettiva, che anche il geniale Wilhelm Reich aveva espresso nel suo libro 'iniziatico' l'Assassinio di Cristo: "La verità è pieno ed immediato contatto tra il Vivente che percepisce e la Vita che è percepita (...) La verità quindi è una funzione naturale". Niente meditazioni, viaggi astrali, tecniche sofisticate...la verità esplode in noi quando il nostro sistema-uomo cambia il suo assetto, quando nel corpo avviene un rimodellamento che squarcia la corazza e ci rende permeabili al contatto con la vita.

Ma quando si assaggia il sapore fisico della verità non si ha più tregua. La vita diventa una ricerca di quel sapore. Tutto il resto assume i contorni della menzogna perchè resta nell'ambito dell'esperienza mentale della vita. Il mondo ha poco colore. Ma naturalmente siamo noi ad essere opachi, non è certo il mondo. Succede anche quando abbiamo per la prima volta un vero orgasmo, quando ci fondiamo col corpo e con la coscienza con la persona che amiamo; ogni altra esperienza sessuale diventa ordinaria ed insoddisfacente.


Ma il vero dramma di Satprem inizia proprio quando esce dal lager. La vita gli faceva nausea e qualcosa si era rotto dentro. "Che cosa mi offriva l'Occidente? (...) Da quel momento la vita non poteva più essere naturale nel modo in cui gli uomini intendono per  'naturale'. Non era più possibile andare a comprare il pane con la borsa della spesa, ecco! " (Ibidem, pag 28). A questo punto della storia ritengo importante fare delle precisazioni per non correre il rischio di cadere in un nichilismo assoluto. Non bisogna immaginare che la vita, per essere veramente significativa, debba essere vissuta all'insegna delle esperienze eccezionali. Non bisogna necessariamente andare in India o in Tibet, oppure ricorrere a situazioni estreme. Il nostro quotidiano diventa squallido se è vissuto nella striminzita coscienza addormentata, consumando azioni banali, in modo sonnolento, con la noia di chi non sa cosa fare e cosa essere. Anche andare a prendere il pane con la grazia nel cuore, con l'attenzione vigile, con la Presenza della Coscienza, diventa un atto speciale. Satprem vedeva gli zombi viventi per le strade di Parigi, uomini spenti che tirano a campare. Ne vediamo tanti oggi giorno, storditi ed immersi in sogni e fantasie di un'altra vita che non è mai nel presente di ciò che si vive. Bisogna prima 'esistere' per vivere una vita vera, bisogna ritornare nella coscenza del nostro corpo. "La verità è fisica" - dirà Satprem.

Così andò in India ed ebbe un incontro con Sri Aurobindo: "E così, d'improvviso, il giorno in cui ho visto Sri Aurobindo...beh, mi sono sentito riempito di quella cosa che avevo...che avevo vissuta così, a tentoni, da ragazzo e che avevo toccato nei lager. E adesso quella cosa C'ERA (...) qualcosa di presente, di vivo. In uno sguardo (...) Per me Sri Aurobindo era quel che si dice 'un grande pensatore', un 'filosofo' (...) Ma non è stato un pensatore quello che ho incontrato: è stato uno sguardo. Ho incontrato un ESSERE (...) D'improvviso mi sono trovato d'innanzi a qualcosa che non era un pensatore, ma un essere come non ne avevo mai incontrati sulla terra. Un ESSERE vero, vivo (...) Qualcosa che incarnava nel suo sguardo, nel suo corpo, nella sua atmosfere, quello che avevo vissuto al largo quando andavo per mare. Tutta quell'immensità presente in un essere. Ed era QUELLA COSA a guardarmi." (Ibidem, pag 29). Quello sguardo era durato pochi secondi e Satprem aveva all'istante sentito di essere arrivato a casa. Ma stare con Lui voleva dire anche fare la scelta di vivere nell'ashram e Satprem era un vero ribelle. Sentiamo le sue parole: "E poi lì c'era un ashram. Un ashram vuol dire una chiesa di più ed io non volevo saperne di chiese.. I muri...tutti i muri mi facevano sentire in prigione. Così non ci ho pensato neanche un attimo di entare nell' -ashram di Sri Aurobindo-" (Ibidem, pag 30).


Da quel momento Satprem si mise in viaggio e divenne un ricercatore della Cosa Vera e si rese conto di un fenomeno che ogni ogni autentico ricercatore scopre: "Ho fatto una scoperta meravigliosa. E' questa la meraviglia: che quando in un essere c'è una vera domanda, allora arrivano tutte le risposte, tutte le grazie (o chiamiamole come vogliamo) ; insomma vengono in aiuto tutte le grazie che ci vogliono" (Ibidem, pag 31). E sbarcò a Caienna, nella jungla, tra serpenti e ragni, umidità e pioggia. Portava con sè 'La Vita Divina' di Sri Aurobindo. Vivere giorni e giorni nella foresta vergine era una condizione estrema, quanto quella dei campi di concentramento. C'erano talmente tanti serpenti che si potevano pestare ad ogni passo: "E' tutto un mondo che brulica, sibila, vibra. Non è un mondo umano (...) Poi, dopo due o tre giorni così, mi è venuta la febbre perchè non riuscivo ad entrarci dentro a quel mondo! Eh già, ero ancora dentro alla mia pelle di occidentale (...) L'indomani, passata la febbre, è passato tutto. E bruscamente mi son detto: 'Beh, se metterò i piedi su un serpente, vorrà dire mettere i piedi su un serpente! Se metterò la mano su un serpente, vorrà dire che metterò una mano su un serpente!' E ME NE FREGO! A partire dal momento in cui quel 'me ne frego' è uscito dal mio cuore, o dalle mie budella, ogni paura è scomparsa! Ed è subentrato un ACCORDO, meraviglioso davvero, con tutto quanto. Non stavo più a guardare dove mettevo i piedi. Non facevo più assolutamente attenzione a niente. Mi occupavo solo di AMARE, di essere con quella foresta, di gettarmi nelle sue braccia. Era meraviglioso! Così non potevo più mettere piede su un serpente! Non potevo più essere toccato da niente, perchè niente di male era più possibile! Ero...ero immerso nel ritmo di quella foresta. Immerso nel suo canto, nel suo delirio; immerso nella sua bellezza brutale, nel suo silenzio...e mi sono lasciato trasportare." (Ibidem, pag 38). In queste parole viene descritto con chiara intensità il SURRENDER. Nello Yoga Integrale incontreremo questo totale affidarsi alla Vita, alla Natura, al Divino, come atto sostanziale della sadhana.


La foresta vergine diventa il simbolo della potenza di ciò che è vivo e naturale. Ognuno di noi ha la sua foresta vergine di cui ha un vero terrore e la copriamo con la zavorra di tutto ciò che ci stordisce, compresi i 'grandi ideali'. "L'essere più profondo dell'uomo affiora quando non ci sono più pensieri, quando l'universo viene spogliato di tutte le sue cianfrusaglie erudite, sociali, familiari." (Ibidem, pag 40) 

Satprem visse nella foresta per circa un anno e raggiunse uno stato di pienezza, ma non era quello che cercava. Molti si sarebbero fermati in questo appagamento. Quanti meditanti si accontentano di molto meno! Credono che la loro quiete e i brevi bagliori di trascendenza siano il segno della loro 'realizzazione'. Ma Satprem aveva incontrato la Cosa Vera nello sguardo di Sri Aurobindo e ne conosceva il sapore. Ciò che fra poco descriverà dobbiamo prenderlo come una vera lezione su come l'ego è capace di far diventare una trappola anche le esperienze più sublimi. Ecco cosa accadde: "Ho avuto momenti - anzi, più che momenti, ho passato giorni e giorni in cui mi sentivo perfettamente felice. E poi un giorno mi son detto: 'Ma sei prigioniero di questa foresta! Prigioniero, sei. Stai diventando un borghese della foresta, sei in trappola (...) Insomma mi ero messo un altro vestito: il vestito dell'uomo dei boschi. Era molto gradevole sentirmelo addosso. Avrei potuto portarlo per quaranta, cinquant'anni, per poi crepare nella foresta...e allora? Il mio segreto non l'avevo trovato!"  (Ibidem, pag 41). E' il segreto dello sguardo di Sri Aurobindo.

Che grande lezione ci dà Satprem: anche il benessere e la felicità può diventare una trappola, un'abitudine per addormentare la coscienza. Questo racconto mi fa pensare molto a chi indossa l'abito del Ricercatore, del Saggio e dell'Illuminato, magari persino in buona fede! Il segreto di Satprem è il nostro segreto di ricercatori della Nuova Coscienza. Lo si può trovare solo a patto di togliere uno per uno i veli, anche quelli di beatitudine. "(Apena viene strappato di dosso un vestito) ce ne mettiamo subito addosso un altro. Immediatamente ricadiamo in un'abitudine d'essere, in un certo tran tran che magari può essere gradevolissimo, più o meno bello e vasto, ma è pur sempre un altro girotondo. E allora eccoci prigionieri di una piccola felicità o di una grande felicità, di una piccola avventura o di una grande avventura: ma sempre prigionieri." (Ibidem, pag 41)

L'insegnamento che ne deriva è che la vera trappola non è la piccola o grande felicità, ma l'attaccamento ad essa. Faccio questa precisione perchè non bisogna travisare l'esperienza di Satprem; il purna yoga non mira all'ascetismo, ma al non attaccamento. Non bisogna essere schiavi del mondo ma infondere in esso la nostra libera gioia di essere che scaturisce dal contatto con l'essere psichico. Naturalmente questo contatto è così pieno che rende sbiaditi molti piaceri che consideravamo indispensabili. Perciò cade l'attaccamento e la rinuncia diviene spontanea. Anzi, non si può nemmeno parlare di rinuncia, ma di disinvestimento. Per le considerazioni sopra esposte ritengo particolarmente efficace per il Purna Yoga il Buddhismo Theravada, dei monaci della foresta, che particolarmente si occupa del tema dell'attaccamento, tramite la sua pratica di Vipassana. L'attaccamento alla mente, alle suo forme, ai suoi pensieri, ai condizionamenti, alle emozioni, ai deisideri, agli oggetti...La Vipassana secondo me è lo strumento migliore per disfarlo.

Il giorno dopo Satprem prese la decisione di andarsene da Caienna e partì per il Brasile. Dopo alcune peregrinazioni si trovò a diventare piantatore di cacao. Gli vollero persino affidare una piantagione e a quel punto si vide di nuovo prigioniero: "Ma che cavolo verrei a farci qui? A far crescere cacao e poi ancora cacao e poi a prendere i miei sacchi di cacao e a portarli alla pesa del villaggio? (...) Mi sono visto piantatore a vita..." (ibidem, pag 44)



Inutile dire che immediatamente Satprem mollò tutto e vicino a Rio de Janeiro si mise a fare ricerche di mica, un minerale che c'è in quella zona, per una compagnia mineraria. Il proprietario, un americano senza figli, lo prese a ben volere e lo voleva adottare come figlio per farne anche il continuatore della sua impresa. Ma sentiamo le parole di Satprem che sono molto più eloquenti: "(ll proprietario) mi chiedeva di andare a Rio, perchè il suo ufficio era a Rio de Janeiro. Aveva uno yacht. Sapeva che mi piacevano le barche e così mi ha detto: 'Ecco, c'è una barca per te!' Così mi sono messo a navigare per la baia di Rio. Era stupenda, e finalmente avevo trovato una barca. Poi, beninteso, ho trovato un'affascinante brasiliana. Molto bella...(...) Solo che lì per lì non ci si rende conto di essersi andati a cacciare in un ginepraio. Ma un giorno me ne sono reso improvvisamente conto, dopo che me n'ero andato in un'isola della baia di Rio (...) Ah, un posto davvero straordinario, immerso completamente nella natura! Ed io stavo con la mia brasiliana. E poi una sera ho guardato tutta quella scena. Sa ci sono momenti nella vita in cui si aprono gli occhi (...) E così il mio sguardo si è fissato sulla spiaggia di quell'isoletta, con quella...quella brasiliana tanto dolce e tanto bella che stava con me, e poi ho visto le miniere di mica laggiù e poi uno yacht che mi aspettava. E allora mi sono detto: 'Ma che stai a farci QUI? Che ci stai a fare?" (Ibidem, pag 46)

Satprem, anche in questo caso, senza pensarci due volte, partì e si diresse in Africa. Chi di noi sarebbe riuscito a non farsi catturare da un sogno così affascinante: era diventato erede di una ricca Società di mica, aveva il suo yacht, la sua bellissima brasiliana...eppure aprì gli occhi e colse l'inganno. Un sogno non può durare. Ci si stanca anche dei sogni che si realizzano. La vita vera ha un altro spessore.



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