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Immagine del redattoreRoberto Maria Sassone

LA VERITÀ ARDE - LA GNOSI

Aggiornamento: 11 nov

La qualità dell'Essere è SAT CHIT ANANDA. Gli insegnamenti che toccano tale qualità sono fiamme solari che bruciano ogni imperfezione della mente concettuale.


Il sadhaka del Purnayoga si impegna a conoscere i testi sapienziali, i loro insegnamenti e le pratiche che essi offrono. La via della conoscenza non si può improvvisare sulla base di qualche superficiale insegnamento. La spiritualità non prevede spontaneismo, ma richiede umiltà, impegno, intento, azione, consapevolezza, coraggio e Fede ardente.


Il shastra (insegnamento) supremo dello yoga integrale è l’eterno Veda (eterna conoscenza) segretamente custodito nel cuore di ogni essere vivente e pensante”.


Nell’intimo di ogni essere umano, nella sua Matrice divina, è nascosta e contenuta la GNOSI, la vera conoscenza.

(SRI AUROBINDO)



"Perché il peso che grava sull'umanità è troppo grande per l'attuale piccolezza della personalità umana, per i suoi piccoli istinti mentali e piccoli vitali, perché l'umanità non può operare il cambiamento necessario, perché utilizza i suoi nuovi strumenti e la sua nuova organizzazione per il servizio. " dal suo antico sé vitale infraspirituale e infrarazionale, il destino della specie umana sembra precipitare pericolosamente, e con tanta impazienza, come nonostante se stesso, verso una prolungata confusione, una crisi pericolosa e l'oscurità di una violenta e commovente incertezza, spinta da un ego vitale preso da forze colossali che sono la portata stessa della magnifica organizzazione meccanica della vita e delle conoscenze scientifiche che ha sviluppato, una scala troppo grande per essere gestita dalla ragione e dalla volontà. Anche se si scopre che questa è solo una fase passeggera o un'apparenza, e se riusciamo a erigere qualche struttura tollerabile che consentirà all'umanità di continuare il suo viaggio incerto in modo meno catastrofico, non potrà che essere una tregua. Poiché il problema è un problema di fondamenta, e mettendolo, la Natura evolutiva nell'uomo si pone di fronte ad una scelta critica che un giorno dovrà risolvere nel vero senso se la specie deve raggiungere il suo obiettivo o addirittura sopravvivere. »

(Sri Aurobindo - La Vita Divina)




MÈRE NEL 1958 DICEVA QUESTE PAROLE PROFETICHE DI INAUDITA POTENZA E ATTUALITÀ

"....quella parte di umanità - della coscienza umana - in grado di unirsi al Sopramentale e di liberarsi verrà completamente trasformata; e avanza infatti verso una realtà futura non ancora espressa nella sua forma esteriore.

Quella parte di umanità che è invece vicina alla semplicità animale, alla Natura, sarà RIASSORBITA dalla Natura e assimilata del tutto in lei.                                                      

  "Non esisterà più la possibilità di una coscienza mentale, che è quanto consente la perversione, che rende così atroce la PERVERSIONE MENTALE. Quella scomparirà. Non ci saranno più cose del genere. C'era una visione improvvisa che comprendeva l'idea del riscatto, della REDENZIONE....L'idea che solo un atto di Fede in un intervento divino sia il mezzo di salvezza. Era l'idea della salvezza. Ho capito Cristo e la fede nel Cristo. L'ho capito e non solo in riferimento al cristianesimo, al peccato originale. Ho capito che cosa voleva dire il peccato originale e la redenzione attraverso la fede in Cristo". (Agenda di Mère, vol I, pag 168)

Ci sarà una separazione tra la vecchia e la nuova coscienza: "L'effetto sarà un poco simile a quello descritto aproposito del Giudizio Universale. È un'espressione completamente simbolica di qualcosa che discerne tra ciò che appartiene aL mondo della menzogna che deve SPARIRE e ciò che, pur appartenendo lo stesso a questo mondo d'ignoranza e d'inerzia, PUÒ PERÒ TRASFORMARSI. Uno andrà da una parte, uno dall'altra. Tutto quello che può trasformarsi s'impregnerà sempre più della nuova sostanza e della nuova coscienza fino ad ELEVARSI in quella direzione e farsi così tramite tra i due mondi.

 Ma tutto quanto appartiene incorreggibilmente alla menzogna SPARIRÀ. È stato predetto anche nella Baghavad Gita: le forze cosiddette avverse o antidivine capaci di trasformarsi saliranno, se ne andranno verso la coscienza nuova, mentre tutto quello che è irrevocabilmente aggrappato alla notte e alla cattiva volontà sarà distrutto, SPARIRÀ DALL'UNIVERSO. Certo tutta una parte dell'umanità che ha risposto in modo un pò troppo...entusiasta a queste forze, sparirà con loro. Ecco quanto è stato tradotto nel concetto popolare di Giudizio Universale". (Agenda di Mère, vol I, pag 186)

"Una cosa sembra evidente: l'umanità è arrivata ad un certo stato di tensione generale - tensione di sforzi, tensione di azioni, tensione persino nella vita di tutti i giorni - con un'iperattività così eccessiva, un'agitazione così generale, che la specie nel suo insieme sembra arrivata a un punto in cui è necessario o far esplodere le nostre resistenze ed emergere in una nuova coscienza, oppure ricadere in un abisso di oscurità e d'inerzia.

 È una tensione così totale e generalizzata che qualcosa deve per forza spaccarsi. Non può continuare così. Lo possiamo prendere come un segno certo dell'infusione nella materia di un principio NUOVO di Forza, di Coscienza, di Potere, che con la sua stessa PRESSIONE provoca questo stato critico. Esteriormente potremmo aspettarci che la Natura ricorra a quei vecchi espedienti coi quali è solita provocare uno sconvolgimento.

 Esiste però un fenomeno nuovo, riscontrabile con evidenza solo in un'élite, e questo fenomeno non è localizzato in un punto solo, in un certo luogo della Terra, ma mostra segni in tutti i paesi, su tutta la Terra: la volontà di trovare una soluzione nuova, PIÙ ALTA, ascendente, di fare uno sforzo per EMERGERE verso una perfezione più ampia, più comprensiva.

 Le due cose vanno di pari passo: la possibilità di una distruzione più grande e totale. di un'invenzione che aumenti spropositatamente la possibilità della catastrofe, di una catastrofe che sarebbe più massiccia di quelle che ci sonno mai state finora e allo stesso tempo il nascere, o meglio, il manifestarsi di idee e di volontà molto più alte e comprensive che, una volta intese, apporteranno un rimedio più profondo, più vasto, più completo, più perfetto di prima.

 Questa lotta o conflitto tra le forze costruttive di un'evoluzione ascendente, di una realizzazione sempre più perfetta e divina, e le forze sempre più distruttive - potentemente distruttive perché sono forze di una follia che sfugge ad ogni controllo - sta diventando sempre più evidente, visibile ad occhio nudo. È una sorta di corsa o di gara a chi arriverà primo.

 Sembrerebbe che tutte le forze avverse, antidivine , le forze del mondo vitale, siano scese sulla Terra e ne facciano il loro campo d'azione; e che al tempo stesso sia scesa sulla Terra anche una forma spirituale più alta, più potente, nuova, per portarvi una nuova vita.

 Questo rende la lotta più acuta, più violenta, più visibile, ma, pare, anche più decisiva; ecco perché possiamo sperare prossima una soluzione". (Agenda di Mère, vol 1, pag 187-188)

"Ci saranno altre conseguenze che grazie a un mezzo opposto tenderanno a far sparire quanto l'INTERVENTO DELLA MENTE nella Vita ha fatto sorgere di perverso e di laido. tutto quell'insieme di deformazioni che hanno aggravato la sofferenza, la miseria, la povertà morale, tutta quella zona di miseria sordida e ripugnante che rende una gran parte della vita umana qualcosa di orrendo. ECCO, TUTTO QUESTO DEVE SPARIRE.

 È questo che fa essere sotto tanti aspetti l'umanità infinitamente inferiore alla vita animale nella sua semplicità e nella sua naturalezza spontanea, così armoniosa, nonostante tutto. La sofferenza negli animali non è infatti mai sordida e miserabile come lo è in tutta quella parte dell'umanità pervertita da una mentalità INDIRIZZATA a fini egoistici.

 Bisogna andare al di là, innalzarsi verso la Luce e l'Armonia; oppure ricadere indietro, nella semplicità di una vita sanamente animale, non pervertita". (Agenda di Mère, vol I, pag 189)

"L'essere psichico è il rappresentante del Divino nell'essere umano. Ecco cos'è, capite? Il Divino non è qualcosa di lontano e inaccessibile: il Divino sta dentro di voi, soltanto non ne siete completamente coscienti....Lo psichico agisce ancora come influsso, più che come Presenza. Occorre che divenga una Presenza cosciente , alla quale ognuno possa chiedere in ogni istante....com'è che vede le cose il Divino.

(...) Solo che per ora tutte le vecchie abitudini e l'incoscienza generale ci impedisce di vederLo e di sentirLo. Bisogna toglierlo quel diaframma...bisogna toglierlo di mezzo.

Di solito ci vuole tutta una vita e a volte, per alcuni, una serie di vite.

(...) Per essere coscienti del vostro essere psichico dovete sentire, per una volta, la quarta dimensione, sennò non potete sapere che cos'è. (...) sennò stiamo nella menzogna: caos, disordine e oscurità....Ah la mente, la mente, la mente!

Sennò per essere consapevoli della vostra coscienza, siete costretti a mentalizzarla. Ed è spaventoso! Spaventoso!

(...) È la mente a impedirvi di sentirlo. Bisogna ESSERLO, capite? Voi mentalizzate tutto - tutto. Quella che voi chiamate 'coscienza' è un pensare le cose, ecco cos'è che chiamate coscienza. Invece non è affatto questa la coscienza! La coscienza deve essere di un'assoluta trasparenza e SENZA parole.

(...) Di solito lo psichico impiega diverse vite a formarsi completamente. È lui a passare da un corpo all'altro, ed è perciò che non ci ricordiamo delle vite trascorse: proprio perché non siamo coscienti del nostro essere psichico".

(Agenda di Mère, vol XIII - pag 380, 381)







Carnets d’une Apocalypse – libro 1 – 31 marzo 1977

(Lettera a Gloria, di Auroville)

Noi camminiamo e lottiamo insieme, e insieme preghiamo per il Nuovo Mondo. Il Mantra unirà i nostri corpi e le nostre cellule a dispetto di tutto ciò che pensiamo e di tutte le divisioni apparenti. Sarà esso a dissolvere i fantasmi che sono in noi e attorno a noi.

Soltanto allora Mère fluirà attraverso noi, vibrerà attraverso noi: e chi può toccare Questo?

(SAPREM)





IN QUESTO SITO TROVERETE UN CONTRIBUTO IMPORTANTE:

La gnosi attraversa tutta la storia del pensiero umano, tutta la storia delle religioni, tutta la storia della ricerca spirituale.


“Rimane un punto da chiarire: il processo della caduta nell’Ignoranza. Abbiamo visto in effetti che nulla nella natura originaria della Mente, della Vita e della Materia obbliga ad abbandonare la Conoscenza. Abbiamo anche dimostrato che la divisione della coscienza sta alla base dell’Ignoranza: la coscienza individuale si separa da quella cosmica e trascendente di cui è tuttavia parte intrinseca e inseparabile; la Mente si separa dalla Verità supermentale…; la Vita si separa dalla Forza originale, di cui è un’energia, e la Materia dall’Essenza originale, di cui è forma e sostanza…”  In altri termini, è avvenuta la divisione dell’Indivisibile, un movimento per cui la Forza-Coscienza ha oscurato la propria luce ed abdicato al proprio potere producendo il fenomeno dell’Ignoranza.

            “…esiste tuttavia un aspetto che va esaminato immediatamente, ed è l’abisso che si è scavato tra la Mente come noi la conosciamo e la Coscienza-Verità supermentale di cui la Mente è all’origine un processo subordinato. Quest’abisso  è immenso,e se fra due gradi di coscienza non ci sono stadi intermedi, il passaggio da uno all’altro sembra estremamente improbabile, se non impossibile…” in un senso e nell’altro, cioè nell’involuzione e nell’evoluzione, dallo spirito alla materia e viceversa. La Supermente è la gnosi: possiede naturalmente la Verità, i suoi movimenti sono la Realtà, al contrario la Mente, potere dell’Ignoranza, giunge appena a rappresentazioni, a formazioni sfuocate e velate della Verità.  “…deve esserci da una qualche parte nella scala dell’Essere un potere ed un piano di coscienza intermedi … attraverso cui si è effettuata l’involuzione dalla Mente nella Coscienza alla Mente nell’Ignoranza, che rende comprensibile e possibile l’evoluzione inversa… Se queste gradazioni intermedie esistono, appare evidente che devono essere sovracoscienti alla mente umana la quale, al suo stato normale, non sembra aver accesso a questi stadi superiori dell’essere…” La normale coscienza umana sembra limitata ad una gamma, in analogia con i suoni od i colori, tutto ciò che è al di fuori di questa fascia “sensibile” viene considerato o non esistente o inserito in un indistinto “inconscio”. Solamente negli ultimi anni la psicologia transpersonale e la psicosintesi prendono in considerazione la possibilità di un sovraconscio con contenuti propri e accessibili.

            Esistono diverse possibilità e strade attraverso le quali la mente umana può andare oltre sé stessa, ponti per attraversare l’abisso. “…l’Intuizione è, secondo la sua stessa natura, una proiezione dell’azione caratteristica dei piani superiori nella mente d’Ignoranza…” E’ pur vero che non si verifica facilmente una pura intuizione, ma solitamente la mente la vela con i propri meccanismi e movimenti quello sprazzo puro di luce e conoscenza che proviene dall’alto. “…Tuttavia, il fatto stesso di questo intervento, e che dietro ad ogni pensiero originale o autentica percezione che abbiamo delle cose esista un movimento intuitivo, seppur velato o semivelato o appena velato, basta per stabilire un contatto tra la Mente e ciò che le sta sopra…” Un passaggio è possibile e viene aperto.

Un ulteriore passaggio, seppure rudimentale, è rappresentato dalla possibilità o volontà  della mente per superare le limitazioni dell’ego. “…L’impersonalità è il primo carattere del Sé cosmico; l’universalità, l’assenza di limitazione per un punto di vista unico o limitato, è il carattere della percezione e della conoscenza cosmica… I fenomeni d’ispirazione, di visione rivelatrice o di percezione intuitiva o di discernimento intuitivo…sono fatti positivi e la loro origine non lascia posto a dubbio alcuno. Ed esiste infine il dominio vasto e innumerevole dell’esperienza mistica e spirituale, e là le porte sono spalancate alla possibilità di estendere la nostra coscienza oltre i limiti attuali… ”

(Le frasi in grassetto sono di Sri Aurobindo)







OLTRE IL NIRVANA

E, per potere agire ancora piú efficacemente, Sri Aurobindo decide di rivolgersi a uno yogi, un certo Vishnu Bhaskar Lelé, allo scopo di ricevere precise istruzioni sulla pratica yogica. Ma Sri Aurobindo intende chiarirsi con Lelé, e come prima cosa gli dice: «Intendo fare lo yoga per lavorare, per agire, non per rinunciare al mondo o per raggiungere il Nirvana». La risposta di Lelé merita di essere ricordata: «Non le dovrebbe essere difficile, essendo un poeta». Pertanto, fra un impegno politico e l’altro, e il quotidiano da fare uscire ogni mattina, Sri Aurobindo riesce a ritirarsi per tre giorni interi in una stanza con Lelé. Lasciamo che sia lo stesso Sri Aurobindo a raccontarci come andarono i fatti. «Lelé mi disse: "Siediti e medita, senza pensare. Osserva soltanto la tua mente, e vedrai arrivare i pensieri da fuori. Respingili prima che vi entrino dentro, finché la tua mente sarà capace di un silenzio totale". Mai prima di allora avevo sentito che si potessero vedere i pensieri arrivare nella mente dall’esterno. Ma non ho voluto sollevare obiezioni a questa verità o possibilità: semplicemente, mi sono seduto e ho fatto come lui mi diceva. In un attimo la mia mente è diventata silenziosa come l’aria in cima a una montagna senza un alito di vento: a quel punto ho visto un pensiero e poi un altro arrivare concretamente dal di fuori. Li ho respinti prima che entrassero e si imponessero al mio cervello; in tre giorni fui libero. Da quel momento l’essere mentale in me è diventato un’intelligenza libera, una mente universale non limitata dalla ridda dei pensieri personali come un’ape operaia nell’alveare dei pensieri, bensí un ricettore della conoscenza discendente dai cento reami dell’essere, libero di scegliere a piacimento in quell’impero sterminato di visione, in quella distesa illimite di pensiero. Il risultato dell’incontro con Lelé fu una serie di esperienze terribilmente potenti, di radicali cambiamenti di coscienza a cui non avevo mai neanche pensato prima di allora, e che anzi rappresentavano l’esatto contrario delle mie idee. Esperienze che mi fecero vedere il mondo, con stupefacente intensità, come un film in cui le forme vagavano nell’impersonale universalità dell’Infinito».

Di colpo, Sri Aurobindo viene afferrato in alto, in uno stato di totale assenza di pensieri e inghiottito nel Nirvana, com’era successo al Buddha, duemilacinquecento anni prima. Ecco come lo stesso Sri Aurobindo ci descrive questo stato, con quella sua penna mirabile in cui la prosa è sempre animata da un soffio di poesia che fa vedere: «D’improvviso fui proiettato in alto, in una condizione senza pensieri, incontaminata da qualsiasi moto mentale o vitale. Non c’era piú ego, nessun mondo reale — solo un ‘qualcosa’ che guardando attraverso i sensi immobili percepiva o sosteneva nel suo assoluto silenzio un mondo di forme vuote. Non c’era né l’Uno né i Molti: ma esclusivamente e assolutamente Quello soltanto, senza forma né rapporti, puro, indescrivibile, impensabile, assoluto, eppure assolutamente e unicamente reale. Non si trattava di una realizzazione mentale, no, niente astrazioni: ma di una realtà positiva, l’unica realtà positiva (anche se di un mondo fisico senza spazio) che pervadeva, occupava, o piuttosto inondava e sommergeva questa sembianza di mondo fisico, non lasciando luogo né spazio per nessun’altra realtà all’infuori di se stesso, non consentendo assolutamente a nient’altro di apparire reale, positivo o sostanziale. Ciò che portava era una Pace inesprimibile, uno stupefacente Silenzio, un infinito di liberazione».

Questo, dunque, costituisce il secondo passo capitale nell’esperienza di Sri Aurobindo: il nirvana. Sri Aurobindo, restando in quello stato, continua caparbiamente la sua attività rivoluzionaria — pronuncia anzi una serie di discorsi particolarmente ispirati, nei quali accende l’entusiasmo dei suoi compatrioti, come lo storico discorso di Bombay, avvenuto pochi giorni dopo essere uscito dalla fatidica stanza. Barin, il fratello di Sri Aurobindo, ricorda che quando questi chiese a Lelé come avrebbe potuto tenere un discorso restando in quello stato di assoluto vuoto mentale, lo yogi gli rispose: «Non è necessario pensare. Resti calmo e aperto, lasciando che ogni cosa venga compiuta dal potere superiore. Una voce sorgerà in lei, le farà da guida e parlerà attraverso la sua bocca». E cosí infatti avvenne. Durante il discorso, Sri Aurobindo si rivolge ai militanti nazionalisti con queste parole: «Cercate di realizzare la Forza dentro di voi, e di manifestarla in modo che, qualunque cosa facciate, non si tratti piú della vostra azione, ma dell’azione della Forza. Giacché non sarete voi ad agire, ma qualcosa che è dentro di voi. Cosa potranno fare tutti i tribunali e tutti i poteri del mondo contro Quello che è in voi, l’Immortale, il Non-nato, l’Imperituro, che nessuna spada può ferire, nessun fuoco può bruciare? Nessuna galera può tenerLo rinchiuso, nessun patibolo ucciderLo. Che avrete da temere, se sarete coscienti di Colui che abita dentro di voi?».

E, continuando la descrizione di quel particolare stato, Sri Aurobindo aggiunge, parecchi anni dopo: «Contemporaneamente, qualcos’altro da me, all’interno della mia coscienza, si incaricava di ogni attività dinamica e creativa, parlando e agendo attraverso di me, senza che io vi partecipassi minimamente, né col pensiero, né con alcuna iniziativa personale. Un ‘qualcosa’ che rimase ignoto anche a me, finché mi resi conto che ero venuto in contatto con l’aspetto dinamico della Realtà suprema. Allora capii che tale aspetto dinamico preesisteva all’esperienza, sia pure inconsciamente, e che appunto questo mi aveva spinto a intraprendere la disciplina yogica, proprio come era all’origine di ogni mia attività».

Sicché, lentamente, il nirvana si tramuta in qualcosa d’altro: ciò che la Gita indica come “il Nirvana nel Brahman”, ovvero il Divino nel suo aspetto Trascendente — una trascendenza che, stavolta, non esclude alcunché. Lasciamo nuovamente la parola a Sri Aurobindo: «Ho vissuto per giorni e notti nel Nirvana prima che questo stato potesse cominciare anche lontanamente a ammettere in sé altre cose o la minima modificazione. Ma alla fine esso incominciò a dissolversi in una Sovracoscienza piú alta e piú vasta. L’aspetto illusorio del mondo lasciò il posto a un altro, in cui l’illusione era solo un piccolo fenomeno di superficie che aveva dietro di sé un’immensa Realtà divina: un’immensa Realtà divina al di sopra e un’immensa Realtà divina nel cuore di ogni cosa. Una Realtà che prima sembrava solo un’immagine cinematografica, un’ombra e basta. Tuttavia, non si trattava di un ritorno alla prigionia dei sensi, né di una diminuzione o caduta dall’esperienza; anzi, era un costante ampliarsi e elevarsi nella Verità. Il Nirvana, nella mia coscienza liberata, si rivelò l’inizio della realizzazione, un primo passo verso la sua completezza, non l’unico compimento possibile né il suo culmine finale».

Sri Aurobindo va dunque al di là del nirvana, in una coscienza ancora superiore, che comincia a includere il mondo e a restituire a esso la propria verità, la propria realtà divina. Come osserva lo swami Siddheswarananda, «Sri Aurobindo afferma che se la teoria dell’illusionismo è spinta al suo estremo, questa stessa teoria diventa illusoria; la vita, dunque, è vera, non è un’illusione; è divinamente vera, pregna di una feconda verità».


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IL NOBILE OTTUPLICE SENTIERO


Da un discorso trasmesso da BBC Radio, il 4 febbraio 2003.

COME SAREBBE SE… contemplando i nostri pensieri, le nostre azioni e le nostre sensazioni, e osservando le loro cause e i loro effetti, potessimo stabilire agio e fiducia nella vita?

Come sarebbe se… senza credenze, senza opinioni o ideologie, potessimo comprendere come nascono le nostre tensioni e le nostre frustrazioni, e mettervi fine?

In ogni modo, visto che quella che stiamo vivendo è la nostra vita, è comunque il caso di dedicarci un po’ di attenzione. Perché non risvegliarsi completamente a ciò che accade, dentro di noi e intorno a noi?

Esplorando queste possibilità, milioni di persone in tutto il mondo utilizzano gli insegnamenti del Buddha. Alcuni rifuggono dal definirsi buddhisti, ritenendo che questa etichetta possa compromettere l’autenticità della loro ricerca. Da un punto di vista buddhista non c’è niente di male: la cosa fondamentale è ascoltare gli insegnamenti del Buddha, riflettere su di essi, metterli in pratica e coglierne i risultati. Questi insegnamenti, che sono chiamati Dhamma, possono essere paragonati a delle medicine, e ciascun praticante può scegliere la medicina di cui ha bisogno, in relazione al problema di cui necessita la cura. Ma ciò che unifica gli insegnamenti del Dhamma è che sono tutti aspetti delle Quattro Nobili Verità, cioè dukkha (la sofferenza), la sua origine, la sua cessazione e il percorso che conduce alla sua cessazione. Questo percorso è chiamato il Nobile Ottuplice Sentiero.

Gli otto fattori di questo Sentiero sono: Retta Comprensione, Retta Aspirazione, Retta Parola, Retta Azione, Retti Mezzi di Sostentamento, Retto Sforzo, Retta Consapevolezza e Retta Concentrazione. Fornirò più avanti maggiori dettagli su questi fattori, ma la cosa più importante è che essi costituiscono un modo di vivere. Non sono concetti filosofici, credenze o descrizioni di una verità ultima o di una qualche divinità. Essi conducono al Risveglio alla Verità Ultima, ma non la definiscono. La grande realizzazione del Buddha è che l’esperienza della verità ultima non è altro che la cessazione di dukkha, la sofferenza. E dukkha, sia essa depressione, ansia, frustrazione o un più generale senso di inutilità, riguarda tutti noi, nel qui ed ora delle nostre vite. Non è una questione di credenze. E nemmeno bisogna credere, nel Buddhismo, che ci sia una cosa come “la liberazione” o come “la Verità Ultima”: metti fine alla sofferenza e alle tensioni, e conoscerai la verità da te stesso.

L’approccio buddhista privilegia l’esperienza diretta; e in questa prospettiva la prima cosa cui prestare attenzione è quale sia l’origine dei nostri dolori più profondi, così come del nostro più sicuro senso di benessere. Le circostanze, come le malattie o la fortuna, vanno e vengono; ciò che rimane sono le nostre condizioni interne: il senso di fiducia e di pace, o, invece, il disagio e la rabbia che ci corrodono il cuore. Se raggiungiamo la pace della mente, possiamo sopravvivere ai momenti più difficili, ma il senso di colpa, la rabbia o la depressione possono riempire di nuvole la giornata più serena. Un miliardario o un re possono essere assediati dal malessere e dalla sfiducia. Mentre un monaco senza un soldo, come il Buddha, può risiedere nell’agio e nella realizzazione. La sofferenza e la sua cessazione sono nella nostra mente e nel nostro cuore.

Mente e cuore: siamo consapevoli che sono influenzati dall’esperienza e a sua volta l’influenzano. Il Buddha spinge a prestare attenzione a questa consapevolezza, nel momento in cui si mettono in pratica i suoi insegnamenti. In un dialogo, il Buddha incoraggerebbe questo tipo di domande: come ti sentiresti se qualcuno abusasse di te, o uccidesse i tuoi amici o parenti? Questo provocherebbe sofferenza, oppure no? E com’è quando invece ti trattano con generosità e con gentilezza? E se ti comporti in un modo piuttosto che nell’altro, qual è il comportamento che produce degli effetti che ti fanno star meglio? Così, usando la tua saggezza, come è meglio che ti comporti? Procedendo con indagini come questa, il Buddha ha delineato il suo insegnamento, il Dhamma.

Per me, come per molti, il Buddhismo è iniziato con la meditazione. Mi ero appena laureato, avevo un sacco di idee e un sacco di domande sulla vita. Prima di intraprendere una qualche carriera, volevo capire cosa volessi veramente. E come raggiungerlo. Così ho viaggiato per un po’, provando questo e quello, e dopo qualche anno andai verso oriente, per confrontarmi con un percorso di ricerca spirituale. Alla fine, in Thailandia, capitai ad un incontro di meditazione, che veniva tenuto in inglese. Mi sembrò che valesse la pena di provare. L’incontro si teneva in un monastero buddhista, in una stanza dove c’erano alcune stuoie e poco altro. La stanza era illuminata da una lampada, collocata vicino all’insegnante, che sedeva di fronte a noi, accanto a una finestra. Era un occidentale, e indossava l’abito ocra dei monaci buddisti. Essendo un monastero che si trovava ai tropici, non c’erano vetri alle finestre, e così molti insetti, attratti dalla luce, entravano nella stanza. Alcuni di questi insetti, delle formiche volanti, presero a svolazzare intorno al monaco, ma notavo che lui, mentre parlava, non era affatto distratto dalle formiche che gli ronzavano intorno, e solo di tanto in tanto ne scostava con gentilezza qualcuna dal viso, appena sembrava che corresse il pericolo di entrargli in bocca. Non si agitava per nulla, allontanava gli insetti con una grande consapevolezza della loro fragilità, senza perdere il filo del discorso. Nella stessa situazione io avrei ucciso parecchie di quelle formiche, mi sarei molto irritato per la mancanza di vetri alle finestre, e avrei senz’altro dimenticato quello che stavo dicendo. Ma la tensione che mi avrebbe preso, l’avrei prodotta io stesso: le formiche volanti in effetti non erano questo gran problema. Si trattava solo di rispondere con consapevolezza alle sensazioni prodotte da evento esterno, piuttosto che reagire in maniera scomposta. Quella fu un’ottima introduzione alla meditazione, e in un senso più ampio, al Sentiero buddhista.

In parole povere, l’Ottuplice Sentiero riguarda l’etica, la meditazione e la comprensione. Applicato a quell’incontro di meditazione nel monastero buddhista, significava non uccidere le formiche volanti, rimanere con ciò che stava accadendo, e reagire con consapevolezza, lasciando andare la tensione. In teoria era molto facile, ma capivo che avevo proprio bisogno di un po’ di pratica. La meditazione ci conduce dove siamo più sensibili, che è proprio dove tendiamo a reagire in modo cieco. Per rispondere con chiarezza all’esperienza, dobbiamo fissare delle linee guida. Il fondamento di queste linee guida è la Retta Comprensione.

La Retta Comprensione è il riconoscimento che quello che facciamo è importante. Non viviamo in un universo predeterminato, le nostre azioni hanno degli effetti. Possiamo essere fonte di beneficio o di sofferenza per noi stessi e per quelli che ci sono vicino. E non si tratta tanto di una obbligazione morale. E’ che se sviluppiamo la chiarezza e la gentilezza, possiamo vivere con una mente chiara e gentile. Se invece manteniamo il pregiudizio e l’indifferenza, diventeremo più limitati e insensibili. Possiamo agire con chiarezza ed essere in pace con noi stessi, oppure possiamo agire in maniera compulsiva, e rimanere intrappolati. Perché la compulsione porta a comportamenti ripetitivi, e alla perdita di ogni autorità. La Retta Comprensione significa riconoscere che l’integrità deve essere il centro della propria vita. E ciò genera una grande forza.

La Retta Aspirazione, anche detta Retta Intenzione, deriva da questa comprensione della legge di causa ed effetto. Significa far propria l’intenzione di realizzare effetti salutari con il corpo, la parola e la mente, e di evitare gli effetti non salutari. Questo è il fondamento degli insegnamenti sull’azione, o kamma, come è chiamato nel Buddhismo, di cui l’intenzione mentale è l’agente. Siccome le azioni del corpo e della parola procedono dagli stati mentali e dalle emozioni, se riusciamo a mantenere la chiarezza nella nostra mente e nel nostro cuore, possiamo anche agire da una posizione di equilibrio, e siamo in grado di discernere i risultati delle nostre azioni. Questo è il caso della Retta Parola e della Retta Azione. Abbandoniamo gli inganni, rifuggiamo dal prendere ciò che non ci appartiene, evitiamo la violenza, e invece coltiviamo l’onestà e le parole che hanno valore. I Retti Mezzi di Sostentamento consistono nell’evitare determinate attività come il commercio delle armi, la prostituzione, la macellazione degli animali. Più in generale questo fattore riguarda il modo in cui condividiamo la vita gli uni con gli altri. La nostra relazione con gli altri influenza profondamente la nostra mente, e per questo in diverse occasioni il Buddha ha dato grande importanza alla relazione moglie-marito, al modo di essere genitori, a norme di mutuo supporto tra lavoratori e datori di lavoro, così come ai benefici dell’amicizia.

Per me questi aspetti del Sentiero sono stati tutt’uno con la decisione di passare un periodo di ritiro in un monastero e, in seguito, con la decisione di intraprendere il percorso monastico. E così come la moralità e la meditazione, anche l’amicizia assume una grande importanza. L’insegnante e gli altri monaci sono gli amici che ti sostengono nella pratica con la loro compagnia; i fedeli laici sono gli amici che provvedono all’incoraggiamento, così come al cibo e al sostentamento dei monaci e delle monache. Dall’altra parte la comunità monastica sostiene la comunità laica con gli insegnamenti e con l’esempio. E’ una micro-società basata sul mutuo rispetto, sulla compassione e sulla generosità.

La Retta Comprensione, il Retto Sforzo e la Retta Consapevolezza sono alla base di ogni altro fattore del Sentiero. Facciamo l’esempio della Retta Parola: si inizia con la Retta Comprensione, riconoscendo che il modo in cui si parla influenza gli altri. Possiamo portare qualcosa di valore nella mente di chi ci sta vicino, con un’osservazione appropriata, o possiamo invece rovinargli la giornata. Possiamo rimanere nel disagio e nella sfiducia, o invece risiedere nell’apertura e nella pace della mente. Da qui il Retto Sforzo, che significa l’impegno a guidare le proprie azioni; mentre la Retta Consapevolezza implica l’essere pienamente con quello che facciamo e diciamo, e con le sue conseguenze. E il risultato è che evitiamo la sofferenza e partecipiamo a qualcosa che produce un beneficio immediato. Questo è il processo dell’intero Ottuplice Sentiero.

La consapevolezza e l’ultimo fattore del Sentiero, la Retta Concentrazione, ci conducono nel campo della meditazione, della coltivazione della presenza mentale. Questi fattori sono spesso ciò che colpisce di più nel Buddhismo, perché forniscono un potente mezzo di approfondimento della propria vita interiore, offrendo la possibilità di raggiungere una grande serenità, una grande gioia, e la pace incondizionata che viene chiamata Nibbana. E l’approfondimento inizia e si mantiene con la presenza mentale, che consiste nell’essere semplicemente e puramente presenti a quello che succede.

Se torno indietro a quel primo incontro di meditazione, in Thailandia, ricordo che il monaco ci diede qualche consiglio su come sedere eretti, in uno stato di attenzione rilassata, e su come iniziare a prestare attenzione alle sensazioni che accompagnano il processo del respiro. Ricordo che non riuscivo a seguire più di uno o due respiri, prima che la mia mente riprendesse a vagare, a fluttuare su un’onda di speculazioni, di ricordi e di analisi. Ogni momento dovevo riportare l’attenzione al respiro, e riuscire a mantenercela per qualche secondo, prima che una nuova marea di pensieri la sommergesse. E del resto questo è più o meno quello che capita normalmente nella meditazione di un principiante. Nonostante questo, quello che mi colpì profondamente era il fatto che stessi osservando la mia mente. E questo, stranamente, portava pace, e mi rassicurava anche: in qualche modo non dovevo comprendere nulla al di là dei miei pensieri, o al di là della mia mente. Era qualcosa che semplicemente succedeva. E allora: se io stavo osservando la mia mente, chi ero io? E di chi era quella mente?

Il Buddha ha sempre detto che a domande come queste non c’è risposta. Qualsiasi cosa possiamo pensare o dire di essere, è solo un altro evento che passa attraverso la nostra mente. Il punto è che c’è sempre questa presenza mentale, e tutto ciò che la attraversa è in continuo cambiamento, e non è ciò che siamo. Ma più ci centriamo su questa presenza mentale, magari facendovi aiutare da un punto focale, come la sensazione del respiro, più possiamo sentirci stabili, e vedere le cose chiaramente. Possiamo lasciar andare gli impulsi e le sensazioni che sorgono, oppure, come ho imparato più tardi, possiamo focalizzarci su di esse e lasciare che la stabilità della consapevolezza le riduca ad armonia. Che è quello che succede. E’ così: con la pratica possiamo mettere fine alla continua lotta con il nostro corpo e con i nostri stati d’animo, e questa condizione inizia a pervadere il nostro corpo e il nostro stato d’animo, calmando l’uno e l’altro. Prestare attenzione al momento presente è consapevolezza, e il risultato, una stabilità che pervade il corpo e la mente, è la concentrazione, o samadhi. Samadhi non è una stato che in qualche modo dobbiamo produrre, ma piuttosto una condizione di unità, centrata e piacevole, che sorge come risultato della Retta Comprensione, del Retto Sforzo e della Retta Consapevolezza.

Anche se la pratica della presenza mentale e della concentrazione porta un grande rimedio, in termini di liberazione dal dolore, dalle preoccupazioni e dagli stati d’animo ossessivi, c’è un ulteriore sviluppo: la comprensione che libera il praticante dalla sorgente stessa della sofferenza. Questa comprensione, chiamata visione profonda, ci permette di cogliere la natura effimera di quello che accade, e nello stesso tempo ci mette in contatto con una presenza che è invece stabile e affidabile, e cioè la consapevolezza stessa. Provando tutto ciò, piano piano, si produce inavvertitamente un cambiamento: il nostro centro muove verso la pura consapevolezza. Nella vita di tutti i giorni, partendo da questa consapevolezza, possiamo agire con compassione e con chiarezza, e, nella meditazione, possiamo lasciar placare tutti gli eventi, e stare in una presenza luminosa e senza ostacoli. Questo conduce al Nibbana, il compimento dell’Ottuplice Sentiero. E se si arriva a provarlo, anche per un solo istante, non si è più presi dalla smania o dall’apatia; non c’è frustrazione, non c’è necessità di difendersi, non c’è niente da provare. E’ semplicemente la fine della sofferenza e della tensione.

Per me, personalmente, questa è la migliore opportunità che la vita possa offrire. Ma, come raccomandava il Buddha, sta a ciascuno di noi di sperimentarlo da se stesso.

Vorrei dedicare tutti i benefici che possano sorgere da questo discorso al mio primo insegnante, Phra Alan Nyanavajiro.

 

AJAHN SUCITTO

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THICH NHAT HANH – SAMATHA NELLA MEDITAZIONE HA 4 FUNZIONI: FERMARSI, CALMARE, RIPOSARE E GUARIRE


La meditazione buddhista ha due aspetti, samatha e vipaśyanā. Si tende ad accentuare l’importanza di quest’ultima, dell’osservazione profonda”, che può portarci a grandi intuizioni e liberarci dalla sofferenza e dalle afflizioni. La pratica di șamatha (“fermarsi”), però, è di importanza fondamentale: se non ci sappiamo fermare, non possiamo avere alcuna comprensione risvegliata. Negli ambienti zen si racconta una storiella su un uomo e un cavallo: il cavallo galoppa veloce, e pare che l’uomo che lo cavalca debba andare in qualche posto importante. Un’altra persona, lungo la strada, gli grida: «Dove stai andando?» e il cavaliere risponde: «Non lo so! Chiedi al cavallo!». Questa è anche la nostra storia: stiamo cavalcando un cavallo, non sappiamo dove stiamo andando e non ci possiamo fermare. Il cavallo è la forza dell’abitudine che ci spinge in una certa direzione, senza che noi si possa fare niente: corriamo sempre, e correre diventa un’abitudine. Combattiamo tutto il tempo, anche durante il sonno. Dentro di noi c’è la guerra, ed è facile che questo faccia scoppiare una guerra con gli altri.

Dobbiamo imparare l’arte di fermarsi: fermare i pensieri, le abitudini, la tendenza a dimenticare, le emozioni forti che ci condizionano. Quando un’emozione imperversa dentro di noi come una tempesta, in noi non c’è alcuna pace: accendiamo la televisione e poi la spegniamo; prendiamo in mano un libro e poi lo mettiamo giù. Come fermare questo stato di agitazione? Come fermare la paura, la disperazione, la rabbia e il desiderio? Possiamo fermarli praticando il respiro consapevole, camminando in consapevolezza, sorridendo in consapevolezza, guardando a fondo per capire. Quando siamo consapevoli, in contatto profondo con il momento presente, i frutti sono sempre la comprensione, l’accettazione, l’amore e il desiderio di alleviare la sofferenza e portare la gioia.

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Spesso però le nostre abitudini sono più forti della nostra volontà; spesso diciamo e facciamo cose che non vorremmo, e poi ci dispiace; facciamo soffrire noi stessi e gli altri, e il risultato è una quantità di guai. Perché? Perché siamo spinti dalla forza delle abitudini (vāsana).

Abbiamo bisogno dell’energia della consapevolezza per essere ben presenti a noi stessi e riconoscere le abitudini, per poter fermare questo moto distruttivo. La consapevolezza ci mette in grado di riconoscere la forza dell’abitudine ogni volta che si manifesta. «Ciao, forza dell’abitudine, so che sei lì!» Se solo le sorridiamo, perderà molta della sua carica. La presenza mentale è l’energia che ci permette di riconoscere la forza delle nostre abitudini e impedisce loro di dominarci.

L’assenza mentale è il suo opposto: beviamo una tazza di tè, ma non sappiamo che stiamo bevendo una tazza di tè. Sediamo in compagnia della persona che amiamo, ma non ci accorgiamo della sua presenza. Camminiamo, ma non stiamo camminando davvero: siamo da qualche altra parte, immersi in pensieri sul passato o sul futuro. Il cavallo della forza del l’abitudine ci porta via con sé, e noi siamo in sua balia. Dobbiamo fermare quel cavallo e reclamare la nostra libertà. Dobbiamo far risplendere la luce della consapevolezza su ogni cosa, così che il buio dell’assenza mentale si dissolva. La funzione primaria della meditazione, samatha, è fermarsi.

La seconda funzione di samatha è calmare. Sappiamo che potrebbe essere pericoloso agire quando siamo in preda a una forte emozione, ma non abbiamo la forza o la chiarezza per non farlo. Dobbiamo imparare l’arte di inspirare ed espirare, fermare le nostre attività e calmare le nostre emozioni. Dobbiamo imparare a diventare solidi e stabili come una quercia, a non lasciarci squassare dai venti di tempesta. Il Buddha ha insegnato molte tecniche per aiutarci a calmare il corpo e la mente e a guardarvi dentro in profondità. Queste tecniche possono essere riassunte in cinque stadi:

  1. Riconoscimento. Se siamo arrabbiati, dire: «So che in me c’è rabbia»,

  2. Accettazione. Quando siamo arrabbiati, non negarlo. Accettare quello che c’è.

  3. Abbraccio. Prendere in braccio la nostra rabbia come una madre tiene in braccio il suo bambino che piange. La consapevolezza abbraccia l’emozione e già questo, di per sé, può calmare la nostra rabbia e noi stessi.

  4. Osservazione profonda. Quando siamo abbastanza calmi, possiamo guardare in profondità per capire che cosa abbia provocato questo accesso di rabbia, cosa stia provocando disagio al nostro bambino.

  5. Comprensione risvegliata. Il frutto dell’osservazione profonda è la comprensione delle tante cause e condizioni, primarie e secondarie, che hanno prodotto la nostra rabbia, che stanno facendo piangere il nostro bambino. Forse ha fame. Forse lo punge la spilla da balia sul pannolino. La rabbia si è scatenata dentro di noi, quando un amico ci ha parlato in maniera meschina, ma poi di colpo ci siamo ricordati oggi non è nella sua forma migliore perché suo padre sta morendo. Riflettiamo in questo modo finché non abbiamo un’intuizione sulla causa della nostra sofferenza: la comprensione risvegliata ci indica che cosa fare e che cosa non fare per cambiare la situazione.

La terza funzione di samatha, dopo quella di calmare, è il riposo. Immaginiamo che una persona in riva a un fiume vi lanci dentro un sassolino: questo si lascerà affondare lentamente e raggiungerà il letto del fiume senza alcuno sforzo. Una volta sul fondo, il sasso vi rimarrà, in quiete, lasciando che l’acqua gli scorra sopra. Quando pratichiamo la meditazione seduta possiamo concederci un riposo simile a quello del sasso; possiamo permetterci di affondare naturalmente nella posizione seduta e riposarci, senza alcuno sforzo. Dobbiamo imparare l’arte del riposo, consentendo il riposo al corpo e alla mente: se sono feriti, in qualche modo, il riposo è necessario per permettere loro di guarirsi.

Calmarsi permette di riposare, e riposare è una condizione fondamentale per la guarigione. Quando vengono feriti, gli animali della foresta si trovano un posto dove giacere in riposo completo per svariati giorni. Non pensano né al cibo né ad altro: riposano soltanto, e in questo modo ottengono la guarigione necessaria. Quando noi esseri umani ci ammaliamo, non facciamo altro che preoccuparci! Cerchiamo un dottore e prendiamo le medicine, ma non ci fermiamo. Anche quando andiamo in vacanza al mare o in montagna non ci riposiamo affatto e torniamo indietro più stanchi di prima. Dobbiamo imparare a riposare. Stare sdraiati non è l’unica posizione per il riposo: durante la meditazione seduta o camminata ci si riposa molto bene. La meditazione però non deve essere un duro lavoro: lascia solo che il corpo e la mente si riposino come un animale della foresta. Non combattere. Non c’è proprio niente da ottenere. Io sto scrivendo un libro, non sto combattendo; mi sto anche riposando. Per favore, leggi in modo gioioso ma rilassato. Il Buddha ha detto: «Il mio Dharma è la pratica della non-pratica». Pratica in un modo che non ti stanchi, anzi che dia al tuo corpo, alle tue emozioni e alla tua coscienza la possibilità di riposare. Il nostro corpo e la nostra mente hanno la capacità di guarire se stessi, se consentiamo loro di riposare.

Fermarsi, calmarsi e riposare sono condizioni preliminari per la guarigione. Se non ci possiamo fermare, la nostra distruzione continuerà il suo corso. Il mondo ha bisogno di guarire. Individui, comunità e nazioni hanno bisogno di guarire.


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L'ego è ciò che ci aiuta a distinguerci come individui e ciò che c'impedisce di diventare divini. Ecco. Mettete insieme queste cose e troverete l'ego. Senza ego, nel mondo così com'è organizzato, non ci sarebbe l'individuo, e con l'ego il mondo non può diventare divino.

Sarebbe logico concludere: «Ebbene, diventiamo anzitutto degli individui consapevoli, poi ci libereremo dell'ego e diverremo divini». Solo che una volta divenuti degli individui consapevoli, siamo talmente abituati a vivere con il nostro ego che non possiamo neppure più distinguerlo, e ci occorrono molti sforzi per accorgerci della sua presenza.

Mère - Commenti al Dhammapada -2 Maggio 1958


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Lei è venuta per dare questo al mondo

Un’ultima cosa: non è questione di “successore” di Satprem, così come Satprem non è il “successore” di Mère – noi siamo tutti i successori. Ci sono quelli che capiscono e quelli che sono impantanati nel passato, è tutto. Ma Mère è pronta a dare il segreto a tutti e l’esperienza a tutti, a ognuno nella misura giusta, in base alla sua fede e alla sua ricettività. Capisci, Lei è venuta per dare questo al mondo, per aprire la possibilità al mondo – non ad un eletto o a pochi eletti. È a disposizione di tutti quanti.

Satprem

Carnets d'Une Apocalypse -Libro 2- 5 Giugno 1981


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Una vita intera di personale ricerca interiore, sia nel campo psicologico che in quello spirituale, malgrado i miei evidenti limiti, emersi sempre più chiaramente col passare del tempo, mi hanno però consentito di togliere molti veli che coprivano i miei occhi. Poco per volta ha preso forma la consapevolezza che siamo di fronte al crollo evidente dell'intera organizzazione umana così come si è costituita fino ad ora.

La finanza, la politica, l'educazione, la spiritualità, tutte basate sui pseudo-valori del potere, dell'accumulo, del consumo, del conflitto, della guerra e del benessere materiale, stanno crollando.

Credo che ormai questo processo sia inevitabile e faccia parte di un ciclo evolutivo che ha fatto il suo corso.

Il materialismo come visione della vita si basa sostanzialmente sul narcisismo egocentrato e sulla sua caratteristica di percepire ogni aspetto del mondo come separato. L'io egocentrato sente di essere separato da tutti gli altri individui, dagli animali, dalle piante, dalla natura, dalla Terra e dall'universo.

Nella percezione egoica ogni essere vivente diventa un oggetto e, come tale, può essere usato e sfruttato. Accumulare più potere possibile diventa quindi l'unica garanzia di sopravvivenza ed il potere stesso viene assunto come Valore assoluto.

Finché l'essere umano continua a vivere nella "coscienza separativa" non vi è a mio avviso nessuna possibilità di cambiare paradigma. Questo è il motivo per cui non credo più nell'efficacia di intervenire con mezzi politici ed ideologici. Ritengo invece che si debba intervenire nel campo dell'educazione interiore in maniera "pratica", fornendo insegnamenti e soprattutto "pratiche interiori" psicologiche e meditative (spirituali) che consentano di spostare gradualmente il centro d'identità dall'ego al Sé.

Ma questa non è una strada facile e, tra l'altro è attualmente molto contaminata. Chi sceglie la "via interiore" deve essere animato da una "retta conoscenza" e da un "retto intento", usando il linguaggio del Buddhismo. Chi crede che la via interiore o spirituale, sia una passeggiata di benessere, si inganna. È una via eroica, che prende tutta la vita, è un via d'azione, una via pratica, che consiste nello smontare i condizionamenti, di visitare le ombre, di svelare la nostra menzogna, oltre a risvegliare un'attenzione consapevole, un testimone, che ci consenta di vedere gli inganni del nostro ego, fino al punto da iniziare a ritrovare nel silenzio e nella concentrazione, il "contatto" con la nostra "matrice spirituale" che Sri Aurobindo e Mère chiamano l'Essere psichico, la goccia divina che anima ognuno di noi, ma che nella maggior parte dei casi è completamente sommersa dal ciarpame del nostro egoismo.

La connessione con la "matrice interiore" cambia la coscienza, annullando la falsa percezione di essere individui separati.

Se ci si sente uniti a tutti gli esseri e ad ogni manifestazione della vita, scopriamo l'Amore, l'Unione; sentiamo di appartenere ad un più vasto Disegno e questa forte e dolce percezione di unione ci induce spontaneamente alla collaborazione e al Bene comune.

La via interiore non è consolatoria perché è una via di Sincerità e di Verità, ma secondo me questa è la nuova ed unica direzione futura del cambiamento sostanziale degli individui.

(Roberto Maria Sassone)


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Il Nuovo Potere

Satprem – Carnets d’une Apocalypse – libro 3 – 19 marzo 1983

Per me, così come lo capisco, tutte queste manipolazioni hanno un solo senso: la discesa, l’infiltrazione e l’impregnazione della coscienza materiale del nuovo Potere.

E’ questo che fa il lavoro e che sa ciò che c’è da fare – noi non sappiamo niente.

Gli effetti di questo Potere:

1) purificazione del subcosciente e di tutte le vecchie impronte, reazioni, abitudini della coscienza materiale, corporale. E’ il “bozzolo nero”. Ciò tritura tutto questo magma colloso.

2) Più questo purifica, più la rete si scolla, e di conseguenza, è l’allargamento di coscienza materiale che ritrova la sua unità con la Materia. Il corpo “puro” si scopre del suo mantello individuale – un mantello di Menzogna. E’ il falso corpo mortale che può a poco a poco far sì che il vero corpo si infiltri e lo invada.

3) L’effetto ultimo (o il più prossimo) deve essere il risveglio della coscienza cellulare: lo splendore che è all’interno. Tutto ciò che è in alto risveglia tutto ciò che in basso. Allora il lavoro si farà automaticamente dall’interno, dall’interiorità del corpo.

Sarà l’inizio della supermentalizzazione con i suoi effetti sconosciuti.

Lo strumento del Lavoro:

non ne conosco che uno: il Mantra di Mère. E prima di tutto questa meravigliosa sillaba OM, magica, come un lampo di luce, che sale in modo molto dritto e va ad aprire le chiuse del Supermentale o del nuovo Potere. E’ veramente l’invocazione al Supremo. E’ la Risposta meravigliosa.

E poi l’abbandono totale, senza paura: lasciarsi portare dal Potere come un fuscello – lasciar fare, soprattutto lasciar fare, non “orientare” mai l’esperienza. La passività totale con aspirazione intensa del corpo: essere per Te. E’ tutto. Se si è per Te in modo puro, tutto il resto scorre.

Il nome di Sri Aurobindo è anche un Mantra meraviglioso.


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Mère – Conversazioni – 5 agosto 1953

[l’Essere Psichico] è tramite la reincarnazione che esso si sviluppa; è nella vita fisica e in un corpo fisico che, a poco a poco, si sviluppa e diventa un essere pienamente cosciente.

[…]

Finché lo psichico resta nel mondo, finché sceglie di lavorare per il Divino, esso progredisce. Soltanto se si ritira nel mondo psichico e rinuncia o rifiuta di continuare a lavorare per l'Opera divina, può restare in una situazione statica fuori da ogni progresso; perché, come vi ho detto, il progresso esiste qui, sulla terra, nel mondo fisico; non esiste dovunque. Nel mondo psichico c'è una sorta di riposo beatifico: si rimane come si è, statici.


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(A cura di Ivo Bernasconi)

Nel 1935 Sri Aurobindo scrive a Nirodbaran: "Esistono stadi diversi di trasformazione. Il primo è la trasformazione psichica, nella quale tutto entra in contatto col Divino attraverso la coscienza psichica (coscienza dell'anima). Poi viene la trasformazione spirituale, in cui tutto si fonde con il Divino nella Coscienza cosmica. Il terzo stadio è la Coscienza supermentale, con la quale tutto si supermentalizza nella divina Coscienza gnostica.

Nessuno può realizzare la realizzazione senza aver conseguito la realizzazione spirituale.

Quella psichica è la prima delle due trasformazioni necessarie - la trasformazione facilita immensamente l'altra, vale a dire la trasformazione della coscienza umana comune nella Coscienza superiore e spirituale."

Mère nel 1955 scrive: "Si deve anzitutto trovare la propria anima - è una cosa assolutamente indispensabile - e poi identificarsi con essa. In seguito si può procedere verso la trasformazione (...) Non si può eludere questo punto, non è possibile".

Nella Vita Divina Sri Aurobindo scrive: " Questo è il primo passo della realizzazione di sé: insediare l'anima, l'individuo psichico divino, al posto dell'ego".

Nel 1956 Mère scrive: "La vera vita spirituale ha inizio quando ci si trova in comunione con il divino nello psichico. quando si è coscienti della Presenza divina nello psichico ed in costante comunione con Esso. ALLORA comincia la vita spirituale, non prima - la VERA vita spirituale."

Nel 1957 ripetè con forza: "....vi ricorderò quanto Sri Aurobindo ha detto, ripetuto, scritto, confermato e ribadito di continuo: che il suo yoga, lo Yoga Integrale, non può avere inizio che DOPO tale esperienza (la realizzazione dell'anima), non prima. Di conseguenza non ci si deve cullare nelle illusioni ed immaginare di poter cominciare a sapere cosa sia la Supermente o formulare su di essa un'opinione qualsiasi, per quanto minima, prima di avere avuto QUESTA ESPERIENZA".

Nel luglio 1970 Mère fece questa scoperta: " Sarà proprio l'essere psichico a materializzarsi e a diventare l'essere supermentale. (...) È l'essere psichico, cioè il rappresentante del Divino nell'uomo, la cosa che resterà, che passerà nell'altra specie", dirà nel 1972. "Perciò bisogna imparare a centrare tutto l'essere intorno allo psichico. Quelli che vogliono passare alla superumanità, beh, devono sbarazzarsi dell'ego e concentrarsi attorno all'essere psichico".

In un messaggio scritto di suo pugno il 24 giugno 1972 si legge:

"È indispensabile che ciascuno trovi il suo essere psichico e si unisca ad esso definitivamente. È attraverso l'essere psichico che la Supermente si manifesterà".

Per questo tutto il mio lavoro è volto all'apertura dello "spazio del Cuore", perché in esso c'è l'accesso all'essere psichico, alla nostra essenza interiore, alla Goccia divina che già siamo.

(Questi brani sono tratti dal libro di Georges Van Vrekhem, "Oltre la Specie Umana", Casa Editrice Irradiazioni.)

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