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Immagine del redattoreRoberto Maria Sassone

LA TRAPPOLA DELL’IDENTIFICAZIONE




Ho più volte sostenuto che la ricerca spirituale è una scienza vera e propria in cui il nostro corpo fisico, istintuale, emotivo e mentale, è il laboratorio stesso della nostra ricerca.

Non serve assolutamente a nulla lo studio teorico delle filosofie orientali, dell’esoterismo occidentale, delle parole dei maestri, se tutto ciò non si traduce in una continua pratica, sperimentazione ed esperienza diretta che dovrebbe costituire il sale della nostra vita.

Qualche meditazione, qualche esercizio corporeo, qualche mantra, gettati lì, durante la giornata, quando ne abbiamo voglia e sganciati dalla vita consueta e quotidiana, sono a mio avviso non soltanto una perdita di tempo, ma un tradimento del Nobile senso della Ricerca spirituale stessa.

La Ricerca inizia quando ci accorgiamo di essere in trappola. È una sensazione di disagio con noi stessi, un senso di oppressione; la vita ci sembra senza senso, pur avendo a disposizione quelle cose che, secondo il buon senso comune, dovrebbero renderci felici.

Ho conosciuto persone con una vita realmente travagliata, ma che sentono la pienezza interiore, ed altre che, pur avendo grande successo, disponibilità economica, e riconoscimenti sociali ed affettivi, piangevano disperati nel mio studio perché si sentivano infelici.

Senza girarci intorno sono convinto con cognizione di causa che, senza un contatto reale con il Sé interiore, non è possibile vivere una vita vera e piena.

Arnaud Desjardins scrive nel suo libro AL DI LÀ DELL’IO: “La ricerca del Sé inizia dalla presa di coscienza della propria identificazione nei vari corpi e nelle diverse materie o della propria libertà da essi. Nessuno può fare tale ricerca per voi; solo voi potete metterla in atto ed essa vi condurrà alla scoperta suprema. Se voleste cercare direttamente il Supremo dentro di voi sarebbe, salvo rarissime eccezioni, troppo difficile. Se porrete l’attenzione sull’Atman (Sé), rischiate di vederlo sfuggirvi all’infinito (…) Non cercate al di là delle vostre possibilità, non cercate al di là della vostra esperienza con il pretesto che l’ha detto Ramana Maharshi o che è scritto nelle Upanishad”.

Ecco quindi uno dei passi iniziali della Ricerca spirituale: l’identificazione; con che cosa? Con le varie funzioni del nostro corpo, sensoriali, pulsionali, emotive e mentali.

Secondo la mia esperienza la meditazione Vipassana o zen, oltre ad essere ovviamente una Via vastissima, cosparsa di preziosi tesori, è nella sua iniziale applicazione un formidabile mezzo di disidentificazione perché sviluppa dapprima l’osservatore, per giungere in una fase più avanzata al Testimone silenzioso. Come più volte ho ripetuto, l’osservatore è lo sguardo della mente che osserva la mente ed il Testimone è lo sguardo del Sé.

Con l’osservatore si scopre ben presto che la nostra mente-cuore è superaffollata da pensieri, personaggi ed emozioni che mutano continuamente, facendoci toccare con mano che niente è permanente dentro di noi e che quindi quella cosa che chiamiamo IO è un’illusione. Questo è un dato esperienziale importantissimo perché tocchiamo con mano la precarietà dell’identità egoica. Queste informazioni si leggono su moltissimi libri, ma non servono se non diventano esperienza tangibile.

Per molti anni, sotto la guida di Laura Boggio Gilot, ho praticato la meditazione vedantina che consiste nello sviluppare l’osservatore e nell’osservare anche con quale osservatore osservi (benevolo, giudicante, etc) fino ad arretrare al Testimone. Ho quindi scoperto immediatamente che l’osservatore è un momento di passaggio che conduce al Testimone.

Continuando la pratica, quando meno ce lo aspettiamo, ecco che si manifesta un’esperienza sconvolgente, un vuoto assoluto colmo di coscienza, la pienezza di Sé senza nessun attributo. Come non mai in quell’esperienza ci sentiamo esistere. La prima volta che accade, generalmente si ha una tale meraviglia, mista a timore, che l’esperienza viene subito commentata dalle mente e sparisce. Ma il Sacro è stato toccato…niente può essere più come prima.

Questa è la prima iniziazione e da qui inizia un cammino umile, fatto di piccoli passi, in cui si devono fare i conti col desiderio di riavere quell’esperienza, atteggiamento che ne impedirà il ritorno, finché la pratica di meditazione non diventi innocente e accogliente. L’acquisizione di questa posizione coscienziale apre nuovamente la porta al Sacro ed il Testimone silenzioso inizia ad instaurarsi, non solo nella pratica stessa, ma in vari momenti del quotidiano. Partendo dalla domanda: “chi sono io?”, si giunge al Sé. Ma finché la domanda è solo un quesito intellettuale si resta imprigionati nella trappola.

La prigione non è altro che l’identificazione dell’io con il pensiero, la sensazione o l’emozione che avvengono in ogni istante” (Arnaud Desjardins)

A questo punto voglio mettervi in guardia da un equivoco pericoloso che ho visto manifestarsi in molti Ricercatori, a tal punto che in alcuni casi è diventato un atteggiamento cronico: dalla disidentificazione alla scissione il passo è breve. La disidentificazione può diventare una scusa dell’ego per allontanarsi dalla realtà in coloro che ne hanno già la tendenza e la mettono al servizio di una distorta idea della spiritualità. La spiritualità non mira a rifugiarsi in una dimensione trascendente consolatoria, in una beatitudine artificiale, ma al contrario mira a rendere sacra la vita.

La Vita è un’incredibile occasione di ricchezza per il Sé. L’individuo spirituale gode della vita, senza esserne attaccato. Anzi, proprio perché scopre il non attaccamento, gusta il pieno sapore delle esperienze. L’essere umano di quarto livello, il cui centro di coscienza non è più l’io, ma il Sé, è completamente nelle cose perché non appartiene ad esse. Al posto di una schiera di personaggi che si alternano nel vivere la vita, finalmente c’è il vero padrone di casa, permanente, silenzioso, che la celebra in ogni sua manifestazione.

Per molto tempo questo Centro così vasto e pieno appare e scompare, ma gradualmente appare sempre più spesso, fino ad ESSERE in permanenza.

Essere distaccati non significa dunque assumere un atteggiamento di rigidità, come ho visto fare a numerosi meditanti, ma al contrario, sorridere, giocare, sentire il sapore dell’esistenza. Se tutto è espressione del Divino, anche la Terra ne fa parte e credo che il senso della materia sia proprio rivelare l’aspetto nascosto dell’Essere.


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